L’antica via militare Retia

Struttura del video

Per quanto riguarda la struttura del video realizzato ho deciso di strutturare il video mettendo in evidenza i punti principali richiesti nella traccia, ma consigliati anche ad esempio dal Dottor. Cremonesi. Successivamente sviluppare questi argomenti fondamentali in modo semplice e soprattutto di facile comprensione senza soffermarmi troppo su aspetti tecnici, ma anche su curiosità o peculiarità in modo da renderlo interessante e non un semplice elenco di nozioni ripetute. Per il montaggio del video ho deciso di utilizzare delle immagini di repertorio, tratte ad esempio da libri, che permettono una miglior comprensione dell’argomento. Le immagini utilizzate riguardano gli argomenti ritenuti da me fondamentali in modo da richiamare e soffermare l’attenzione dell’ascoltatore sui punti cardini del mio elaborato. Infine ho voluto sovrapporre la mia voce alle immagini in modo che contemporaneamente l’ascoltatore possa ascoltare il discorso ma avere un corrispettivo visivo di ciò che sta ascoltando. 

Contenuti esposti nel video 

La Rezia (in latino Raetia) era, nell’Antichità, la denominazione della regione geografica alpina abitata dal popolo dei Reti: corrispondeva ad una zona adesso compresa tra Svizzera, Baviera, Svevia, Austria, Trentino-Alto Adige, provincia di Belluno ed alcune valli della Lombardia settentrionale, tra cui la Valtellina. La sua conquista va ricercata nella necessità di assicurare la stabilità ai confini settentrionali d’Italia, e nello stesso tempo anche quella delle provincie galliche, di recente conquista. La campagna di conquista decisiva venne affidata ai figliastri di Augusto, Tiberio e Druso, che il primo Agosto del 15 d.C. riuscirono a sconfiggere definitivamente il popolo barbaro dei Reti presso le sorgenti del Danubio: ciò determinò il controllo di tutta la regione compresa fra le Alpi e il Danubio da parte dei Romani. La Retia ebbe carattere prevalentemente militare; numerosi castelli erano disseminati lungo il confine settentrionale (il limes) e altri sorsero nell’interno a sorveglianza delle strade principali. A causa del declino dell’Impero Romano d’occidente e con la conseguente perdita dei territori barbarici, anche l’antica via militare iniziò la sua decadenza. Di essa ci rimane però il ricordo lasciatoci dalle testimonianze degli storici e da due opere architettoniche incantevoli: il piccolo “Ponte del Diavolo” e l’antico e maestoso “Ponte di Lemine”. Il ponte del Diavolo, conosciuto dagli abitanti come ponte del Tarchì, sorge sulla profonda erosione del Tornago nei pressi di San Tomè. “La sua struttura con l’arco perfetto a semicerchio e la maggior grossezza in chiave farebbe pensare ad una struttura risalente ai secoli XII-XIII. Osservando successivamente la natura del materiale e la sua strutturazione e confrontandoli con l’esecuzione di un viadotto, costruito lungo la sponda sinistra del Tornago, viene alla conclusione che esso è la ricostruzione di un ponte risalente ai tempi dei Romani” (1). Questo ponte veniva anticamente chiamato “pontem tornagi” o “pontem sancti thomei”. A rendere celebre la struttura sono state in particolare le diverse leggende sorte su di essa e che hanno spinto gli abitanti della zona a chiamarlo “Ponte del Diavolo”. Secondo la tradizione il Torrente Tornago ospiterebbe la “porta dell’inferno”, un vano che in passato avrebbe spaventato a morte una coppia di malviventi di passaggio i quali, dopo aver ucciso un uomo, avrebbero voluto gettare il cadavere nel ruscello; tuttavia, sporgendosi uno dei due avrebbe visto le fiamme provenienti dall’oltretomba e per la paura avrebbe perso la propria vita. L’importanza di questo ponte, anche se piccolo, fu fondamentale perché consentiva alla via Bergomum-Comum di giungere nella località attualmente denominata “Agro di Almenno”, nei pressi dell’area dell’attuale chiesa di S.Tomé, per poi proseguire ancora verso nord. Parliamo adesso invece di uno dei più maestosi e famosi lasciti del glorioso Impero Romano e dell’antica via militare: il Ponte di Lemine. Il ponte venne realizzato probabilmente sotto l’imperatore Traiano, lungo l’importante via Bergomum – Comum, realizzato per la via militare che portava alla Rezia, rimase in uso fino al XV secolo, grazie a numerosi interventi di ripristino e restauro che in parte modificarono la forma e l’aspetto del ponte stesso, fino alla rovinosa alluvione del 1493. Il ponte aveva una lunghezza di circa 184 metri, poggiava su otto arcate di cui sei avevano una corda di circa 15 metri e due di circa 21, un’altezza di oltre 24 metri e una larghezza di quasi 6 metri. Queste misure, per altro non certe in quanto calcolate sui ruderi rimasti, danno l’idea della struttura imponente del ponte.

«[…] un’opera grandiosa, singolarmente somigliante a quello sul Tago ad Alcántara» lo definisce il prestigioso storico Paolo Manzoni.

Anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente il ponte mantenne la sua importanza viaria e continuò a essere usato per tutto il Medioevo come è provato dalle spese di manutenzione previste e imposte dagli statuti di Bergamo. Il suo crollo avvenne il 31 agosto 1493 a causa di un’eccezionale piena del Brembo che aveva devastato tutta la val Brembana. Del ponte di Lemine, una volta orgoglio dell’architettura militare romana, sopravvivono pochi resti e il suo ricordo che, ironia della sorte, lo ha tramandato con il nome di ponte della Regina, attribuendone la costruzione alla regina longobarda Teodolinda. Un codice del 1493 lo descrive come ponte di Almenno, “fabbricato ha più di mill’anni” certificandone così, fino a tale data, non solo il nome d’uso ma anche l’attribuzione della sua costruzione ai romani.